BalzanaDopo Casal di Principe, anche il Comune di S. Maria la Fossa ha deciso di fuoriuscire dal Consorzio Agrorinasce, in una seduta a porte chiuse del consiglio comunale (un altro brutto segno dei tempi bui che stiamo vivendo, come ha ben sottolineato Rosaria Capacchione in un suo dettagliato itervento su Fanpage). Queste scelte dei due comuni appaiono quanto mai gravi ed incomprensibili in una fase delicata della lotta per la legalità democratica in Terra di Lavoro. Fin dal primo momento ci sono sembrati degli atti che minano la tenuta unitaria del movimento anticamorra: rappresentano una vera e proprio frattura per quella che finora era stata una delle buone pratiche (il modello Caserta) per la gestione dei beni confiscati alla delinquena organizzata. E ciò avviene nel momento in cui nellarea della ex fattoria Balzana era in procinto di partire il progetto per “un parco agroalimentare dei prodotti tipici campani”, ben coerente con la storia economica e con la vocazione agricola di quest’area situata nel cuore dei Mazzoni. Siccome Agrorinasce è l’affidatario di un finanziamentodi ben 15 milioni di euro stanziati dal CIPE per la gerstione del progetto su uno dei beni più estesi a livello nazionale (stiamo parlando di un territorio, quello della Balzana, che si estende per oltre 200 ettari), la decisione del comune può far perdere questi fondi. Contrariamente al passato, invece di puntare a fare coesione sociale e cooperazione il comune oggi accampa la piena ed esclusiva titolarità della fattoria – per inciso va ricordato che una volta era il regno delle famiglie più potenti dei clan della camorra, posto sotto sequestro nel 2010 con il processo Spatacus. Dal 2017 Agrorinasce ha avviato un percorso di riuso a fronte della dimensione del bene sottratto alla camorra (ad alcuni dei clan più pericolosi), con un progetto molto ambizioso e qualificato, destinato ad avviare un futuro di riscatto economico-sociale e di riqualificazione produttiva in un’area di grandi dimensioni nella bassa pianura del Volturno. Per realizzarlo occorre una capacità e volontà del tutto innovativa, fondata in primo luogo sulla cooperazione tra le istituzioni (in primo luogo il Ministero degli Interni tramite l’Agenzia Nazionale), l’affidatario della tenuta che allo stato è il Consorzio Agrorinasce, che da decenni porta avanti iniziative per il riuso civile e produttivo dei beni “liberati” dalle mani dei clan. La decisione del comune di S. Maria la Fossa – dopo quella di Casal di Principe - appare immotivata e forzata per diversi motivi. In primo luogo perché in questo modo prestestuoso viene messo in discussione l’operato di Agrorinasce, che finora è stato considerato come un punto di riferimento istituzionale (con l’imprimatur del Ministero degli Interni e della stessa Regione Campania) nella lotta per la legalità democratica. E’ unanime il riconoscimento (anche a livello europeo) di una delle buone pratiche più virtuose nella lotta alla criminalità organizzata in Terra di Lavoro e nel Sud. Con la fuoriuscita dal Consorzio, si mette in discussione una solida esperienza, fondata su una costante ricerca di cooperazione tra tutti gli attori, da quelli istituzionali, a quelli sociali e religiosi (a partire da Libera, al Comitato don Diana fino al FTS Casertano). Infine, come ben ha rilevato il presidente di Agrorinasce Gianni Allucci, con questo modo di procedere si corre il rischio di svuotare tutto il progetto, con la perdita dei cospicui fondi già stanziati. A questo punto appare legittima una domanda: a che pro e con quali finalità si muove il comune su una strada che può vanificare anni di lavoro del fronte antimafia? Come sostengono in molti, in una fase così delicata appare più che mai necessario ed urgente l’intervento degli organi dello Stato a livello nazionale e regionale per cercare di ricondurre il contenzioso sulla via della collaborazione interistituzionale, l’unica che può risultare decisiva e vincente in un campo così delicato per affermare condizioni nuove di sviluppo sociale, di riscatto civile e democratico in quelle che vengono ancora connotate con stereotipi come le “terre di Gomorra o dei veleni”. Nello stesso tempo sarebbe auspicabile anche una netta presa di posizione da parte della rete di enti ed associazioni che sono in prima fila per la legalità democratica: da Libera al Comitato don Diana fino al FTS Casertano. Finora lo ha fatto solo la CGIL provinciale e campana.

 

Pasquale Iorio 
Le Piazze del Sapere

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