fatepresto        Il Mattino, dalle rotative di via Chiatamone, ed una tiratura sicuramente idonea a coprire l'intera filiera, primi gli edicolanti, mette in distribuzione il giornale, siamo a tre giorni dalla drammatica scossa tellurica che devastera' la nostra regione. Roberto Ciuni è la prima firma nella gerenza, è il direttore responsabile del maggiore quotidiano del mezzogiorno. Il titolo, a caratteri cubitali ed a tutta pagina, è significativo: "Fate presto". Sarà il simbolo della tragedia, l'icona di una realtà che viene trasferita anche nell'arte contemporanea. Il grido di dolore è atroce, paesi dell'Irpinia rasi al suolo, a Napoli palazzi crollati, il casertano è in difficoltà come il salernitano. Campania e Basilicata sono in ginocchio, tanti i morti, migliaia i feriti. Gente in strada, ci sono le radioline portatili quale strumento per ascoltare i notiziari, nelle macchine fornite di radio si cerca in modo snervante di trovare una stazione che trasmetta informazioni. Encomiabile il rapporto tra i radioamatori, che con i loro "baracchini" fanno da ponte tra l'area del cratere ed il resto del mondo.
Intanto la redazione del giornale invia su territorio tutti i cronisti disponibili, a loro il compito di notiziare, raccontare, rendere partecipe il mondo intero della più grande tragedia di tutti i tempi.
Sono le 19.34, è domenica, 23 novembre, mi accingo a rientrare a casa dopo la passeggiata con gli amici, si è stati in piazza dei Giudici, appena il tempo di salire i primi gradini delle scale, che vedo scendere giù, a gran corsa e gridare, persone; in casa c'è solo mio fratello, Roberto, abitiamo all'ultimo piano di uno stabile di viale Ferrovia. Preso dalla paura, scappo via, direzione quadrivio della stazione, qui, i pali in cemento, utili per i cavi della pubblica illuminazione, ballano. Ad uno di essi si è letteralmente abbracciata nonna Assunta. La tranquillizzo è la riporto verso casa, abita lì vicino. Ritorno verso casa, Roberto è giù in pigiama, con le pantofole, ma senza calze. Fa freddo. Insieme saliamo su, prendiamo qualcosa per coprirci, arrivano i genitori, ci si riunisce con il resto della famiglia, nello spiazzo vicino la casa dei nonni. Benedetta la fiat 127 bianca di nonno Gaetano, rifugio utile per qualche giorno. I novanta secondi sono stati una eternità, pochi, ma tanti per spezzare vite, cancellare borghi, strade, storie, gettare intere famiglie in un incubo durato poi decenni. Il sisma è registrato nella scala Richter per un magnitudo di 6,9 gradi, con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania: 2.914 morti, 8.848 feriti e 300mila sfollati. A via Stadera, nel quartiere di Poggioreale, crolla un palazzo. Le linee telefoniche si interruppero e la portata catastrofica del fenomeno fu chiara solo dopo diverse ore. "Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi". Così ammoniva Sandro Pertini, il Presidente della Repubblica, commentando lo spettacolo di dolore e devastazione che per molti giorni si è presentato agli occhi dei soccorritori dopo il sisma. Ancora oggi, a distanza di quarant'anni, il dolore, la paura, il rammarico, sono sempre vivi. La speranza è sentimento comune. Ne abbiamo passate tante, passerà anche questo ennesimo terremoto: il Covid- 19.

 

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