Magna Capys21Quest’anno a causa dell’emergenza sanitaria non riusciremo a ripetere il convegno “Magna Capys – Grande Capua” che si doveva tenere a Santa Maria nel Museo Dell’Antica Capua ma abbiamo comunque pensato di riproporre dei passi salienti del convegno dello scorso anno tenutosi nella splendida cornice del Museo Campano di Capua. Lo scopo del convegno era quello di parlare delle prospettive di riassetto della conurbazione casertana per capire se le unioni e le fusioni di comuni potevano essere importate con successo nel tessuto delle nostre comunità.
Oggi giorno chi parla di fusioni di comuni viene visto dalla gente comune come un marziano che parla di progetti irrealizzabili ed avulsi dalla realtà delle nostre comunità, eppure come è emerso dal Convegno possiamo dimostrare che non è così. Attraverso infatti gli interventi di eminenti professori dell’Università Vanvitelli e di alcuni esperti del settore ripercorreremo insieme brevemente i punti salienti del convegno per addivenire a delle sorprendenti novità.
Per una questione di brevità in questa sede ci focalizzeremo sul quadro normativo e sui vantaggi di una riorganizzazione della Conurbazione Casertana attraverso le unioni e le fusioni partendo da una semplice domanda: perché sostenere nuove forme di collaborazione istituzionalizzate come le unioni e le fusioni di comuni se esistono già le amministrazioni comunali?
Per Claudia De Biase, Professoressa di Tecnica e pianificazione urbanistica, in un futuro sempre più competitivo c’è la necessità di una adeguata modalità di governo del territorio e la conurbazione casertana in particolare, di cui si parla sin dagli anni ’80 come la città continua da Capua a Maddaloni, è uno dei territori che già in tutti gli strumenti di pianificazione urbanistica è normata come ente a sé. Oltretutto all’interno della conurbazione casertana esistono già una serie di unioni dei comuni (piccoli e medi comuni) che hanno deciso di unirsi per raggiungere l’obiettivo dello sviluppo comune dei propri territori anche se sono ancora lontani da diventare un ente reale dell’amministrazione quotidiana.
L’intervento di Daniela Mone, professoressa di Diritto Pubblico, vuole mettere in evidenza il rapporto che esiste tra l’associazionismo comunale e il principio autonomistico sancito nell’articolo 5 della costituzione secondo cui la Repubblica pur essendo una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali. L’interesse normativo verso l’associazionismo comunale nasce con la legge n.142 del 1990 che riconosce anche al comune un ruolo di ente rappresentativo della collettività da esercitare attraverso la gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
Così , secondo la Prof.ssa Mone, nasce l’esigenza di dotare i comuni di una nuova struttura per organizzare queste nuove funzioni e di ricorrere a nuove forme associative come l’unione di comuni che nascono, secondo il punto di vista della dottrina, con due finalità: la prima è quella più ostile ai comuni inquanto rende l’unione di comuni come prodromica alle fusioni, in sostanza l’unione viene vista come una forma associativa che deve portare necessariamente dopo 10 anni alla fusione dei comuni. La seconda consente agli stessi l’esercizio associato delle funzioni senza l’obbligo di realizzare un unico ente per mezzo della fusione e per questo motivo questa opzione è quella maggiormente preferita dalle amministrazioni comunali da sempre gelose delle loro identità.
Ma ora passiamo ai vantaggi di questi nuovi strumenti di amministrazione del Territorio.
Secondo il Prof. Marco Calabrò, Docente di Diritto Amministrativo presso l’Università Vanvitelli “I vantaggi in termini di efficienza di forme di collaborazione più o meno istituzionalizzate, come le unioni e le fusioni di comuni, si misurano anche in termini di sana competitività territoriale”. Quindi grazie a questi modelli di cooperazione istituzionale le nostre amministrazioni possono avere maggiore capacità di attrarre turismo come di attrarre finanziamenti nonché maggiori possibilità di partecipare ai progetti europei e ad altri importanti strumenti come i bandi per la valorizzazione delle periferie.
Questi vantaggi quindi produrrebbero per le istituzioni comunali “non solo maggiore capacità di soddisfare in maniera immediata gli interessi della collettività in termini di efficientamento del servizio pubblico ma anche in via indiretta attraverso una maggiore capacità di disporre di risorse umane e materiali per essere competitivi sul territorio come istituzione”.

Un altro importante contributo del convegno Magna Capys è stato quello del dott. Mario Bianchino fino a pochi mesi fa sindaco di Montoro ovvero il primo comune del centro e sud Italia ad essersi formato per fusione secondo il quale quest’ultima “è un processo che nasce da un sentire popolare profondamente radicato nella storia, nelle consuetudini e nei rapporti con le istituzioni degli ultimi decenni delle comunità per poi addivenire ad una forma più evoluta di istituzione sul territorio”.
“L’elemento della convenienza non deve essere l’elemento centrale della fusione perché diversamente non si approda a nessuna soluzione. Come è stato già spiegato dai professori che mi hanno preceduto – continua il sindaco - l’unione dei comuni dovrebbe essere preliminare se non prodroma alla fusione. Sulla scorta della mia esperienza posso dire che non sempre è così e talvolta l’esperienze di collaborazione tra comuni si fermano allo stadio di unioni senza giungere alla fusione”.
Nelle unioni di comuni non c’è una visione di territorio e l’azione degli enti amministrativi finisce sul confine del loro territorio mentre per potere rispondere efficacemente ai bisogni delle comunità il raggio di azione dell’amministrazione dovrebbe tenere conto di una visione di insieme di tutti i territori. Nelle Unioni si ragiona ancora in termini di convenienza territoriale, perché i comuni che fanno parte delle unioni sono spesso impegnati su alcune questioni che poi creano contraddizioni se ed esempio tali servizi vengono erogati in manieri più intensa in un comune piuttosto che in un altro. Quindi non possiamo immaginare in un territorio omogeneo forme diverse di istituzioni territoriale dalla fusione. Per non parlare poi della parte più micragnosa del discorso in cui alcuni politici vogliono verificare i nuovi rapporti di forza che ci sarebbe nel nuovo ente nato dalla fusione oppure il numero di voti che potevano essere necessarie per entrare nel nuovo comune ma questa è arretratezza ed è un atteggiamento che non può risiedere in una visione della politica nobile.
Con l'unificazione delle due Montoro in un'unica amministrazione, le nostre comunità territorio hanno fatto un grande salto di qualità in quanto il nuovo ente, con circa 20mila abitanti, è diventato il terzo comune più popoloso della provincia". Ma sono anche altri i numeri che inorgogliscono l’ex primo cittadino irpino. " Con la fusione abbiamo ampliato la base contributiva e ridotto, progressivamente, la pressione fiscale. Il nostro comune vanta una situazione finanziaria stabile, tutto a vantaggio dei nostri concittadini la quale consente all'amministrazione di guardare con attenzione anche allo sviluppo del territorio".
Il referendum del 2013 che conferì i crismi della legittimità alla volontà popolare per la fusione di Montoro inferiore e Montoro Superiore con circa l’80 % di voti favorevoli portò innumerevoli vantaggi. La fusione intercomunale, diventata ormai realtà istituzionale, andava ben oltre la semplice associazione dei servizi, prevista dal modello delle Unioni comunali , sia perché unifica e snellisce gli apparati burocratici, riducendone i costi in uno con i costi dei civici consessi, ridotti ad uno, sia perché fa acquisire alla Municipalità unica una capacità negoziale e contrattuale di notevole portata nell’ambito provinciale e regionale, per non dire delle corsie preferenziali per l’accesso alle risorse pubbliche necessarie alla realizzazione di opere di rilevanza strutturale e infrastrutturale per territori estesi, al di là dell’angusta dimensione perimetrale del singolo “campanile”.
Sempre secondo il dott. Mario Bianchino anche se l’elemento della convenienza non deve essere l’elemento preminente nel processo di fusione ne rappresenta un fattore molto importante perché si traduce in una maggiorazione dei trasferimenti da parte dello stato ovvero sia un dato di portata significativa per l’assetto economico dell’amministrazione e la sua efficienza operativa nel programmare e realizzare servizi adeguati per i cittadini, riducendo il carico dei tributi locali. L’esperienza della fusione di Montoro Inferiore con Montoro Superiore è stata molto positiva secondo il Dott. Bianchino in quanto ha consentito tra l’altro di cancellare in un solo colpo oltre 7 milioni di euro di debiti fuori bilancio che gravavano sulla casse del nuovo ente e di programmare dei seri e concreti interventi quali ad esempio la messa in sicurezza degli edifici pubblici e il rifacimento del manto stradale dell’intero comune.
Il successo della nuova Montoro è stato dunque reso possibile in quanto le due comunità sono riuscite a dialogare tra loro con un processo ed una discussione partiti dal basso grazie ai quali si sono superate le logiche campanilistiche che nuocciono soltanto alle nostre comunità.


Secondo l’Avv. Antonio Mirra, Sindaco Dell’Unione di Comuni di Terra di Lavoro e sindaco di SMCV, dopo la ricca introduzione di carattere storico, geografico, urbanistico e normativo è importante la vis del sindaco e con questo intento prende spunto dalla questione del confine già trattata nell’Intervento dell’ex Sindaco di Montoro e che a suo avviso rappresenta il tema centrale dell’argomento del Convegno. Questo tema molto sentito e concreto, dunque, verte sul superamento necessario di quell’assunto proprio di ogni sindaco secondo il quale oltre il confine del proprio comune il mondo non esista. Tutto ruota attorno a questo concetto. Sempre secondo Mirra, difatti, solo se ragioniamo in termini di economie di scala e di visione possiamo raggiungere dei buoni risultati ma fino a quando saremo tutti ghettizzati nella teoria del campanilismo e nella mancanza di visione del territorio tutto questo non accadrà”.
“C’è un aneddoto che forse molti di voi conosceranno sull’origine del termine campanilismo che nasce dalla rivalità tra due comuni della provincia di Napoli vale a dire San Gennaro Vesuviano e Palma Campana. Secondo questa storia il quadrante del campanile di San Gennaro Vesuviano che volgeva verso Palma Campania fu volutamente costruito senza orologio, proprio perché i cittadini del comune limitrofo non leggessero l’ora”.
Se noi ragioniamo in questo modo – prosegue il primo cittadino sammaritano - siamo finiti e questa secondo me la grande prova che devono superare gli amministratori comunali. Io ho una impostazione completamente diversa da questa, assolutamente opposta: io sono il sindaco di una città importante che ospita sede di facoltà di universitaria, ospita siti archeologici, ospita grandi siti culturali, ospita anche l’unico impianto pubblico di rifiuti della provincia di Caserta, ospita il carcere di tutta la provincia, ospita il tribunale e penso per campanilismo che la mia sia la città più importante della provincia di Caserta per tutto quello che ho detto ma ciò nonostante io ritengo sia necessario ragionare guardando oltre i propri confini. Però bisogna prendere atto che l’unione di comuni di Terra di Lavoro tra Capua, Santa Maria e San Tammaro non aveva funzionato. Quando fui eletto sindaco infatti questa unione di comuni era in liquidazione e io mi sono preso la responsabilità per riprendere questo ragionamento e ripartire proprio avendo una visione del territorio. Per raggiungere questo obiettivo non sarebbe neppure necessaria il concetto di continuità territoriale anche se nella fattispecie dei tre comuni ci sarebbe. L’importante per la nascente comunità sarebbe quello di individuare degli interessi comuni da sviluppare insieme come potrebbe essere nel nostro caso lo sviluppo di una politica comune per il Turismo. Basti pensare ai grandi attrattori culturali della nuova e antica Capua che insieme alla Reggia di Carditello potrebbero affiancarsi a Caserta nell’offerta turistica provinciale e che invece sono condannati dalla incapacità storica di mettersi in rete finendo per essere annientati e fagocitati dalla Reggia di Caserta. Un altro ambito nel quale la collaborazione istituzionale può portare grandi vantaggi è quello dei rifiuti per il quale i legislatori nazionale e regionale hanno imposto a tutti i comuni casertani di consorziarsi per raggiungere l’autonomia provinciale e la tanto agognata economia di scala. Bisogna superare la logica dei campanilismi inquanto noi sindaci siamo completamente sopraffatti dalle difficoltà della gestione interna da non riuscire a guardare oltre il confine non dunque soltanto mancanza di visione ma per un appannamento da sforzo.
Per tornare al tema del convegno possiamo dire che Capua vecchia e Capua nuova probabilmente non hanno esattamente quella la stessa identità che ha portato Montoro al processo di fusione ma in un progetto futuro qualcuno dovrà parlare della possibilità di una fusione tra Capua Vecchia e Capua Nuova inquanto un processo del genere potrebbe portare ad immaginare la formazione della città veramente più importante della provincia da tutti i punti di vista e questo risultato si potrà raggiungere solo superando la logica della parcellizzazione politica che attualmente a mio avviso è l’ostacolo più duro da superare. Probabilmente questo progetto si dovrà presto mettere in agenda e si spera che qualche amministratore coraggioso e visionario potrà farlo diventare realtà.

Secondo Paolo Del Forno, Presidente dell’Associazione Magna Capys, il progetto Grande Capua è di vitale importanza per il futuro delle nostre comunità. Esso prevede la fusione dei comuni di Santa Maria Capua Vetere, Capua, Curti, San Tammaro e San Prisco ed ambisce a creare la città più importante e popolosa della provincia di Caserta capace di governare il suo territorio in maniera efficace e rispondere in maniera incisiva alle richieste della cittadinanza. Oggi più che mai siamo dinnanzi ad un bivio e dobbiamo scegliere se continuare condannare le nostre comunità all’ irrilevanza politica, economica, sociale e culturale che porterà ancora ad anni ed anni di oblio oppure se prendere in mano le redini del nostro futuro e riprenderci quello che ci spetta e che nei secoli è stato perduto. Come abbiamo visto grazie a questo convegno ci sono degli strumenti normativi che ci consentirebbero di conseguire questo risultato e non meno importanti ci sono dei notevoli vantaggi anche economici che aiuterebbero non poco il nascente nuovo ente amministrativo. Occorre dunque sensibilizzare l’opinione pubblica della bontà di questo progetto auspicando che ben presto nell’agenda dei comuni interessati si calendarizzi un processo di comunione di intenti che rappresenti la pietra miliare della fusione dei predetti comuni”.
Qui finisce il nostro resoconto ma non finisce il nostro sogno di vedere realizzato il progetto Magna Capys – Grande Capua sperando che presto ci sia la consapevolezza di cittadini e amministrazioni comunali che questa può essere una formidabile occasione di sviluppo delle nostre comunità, è un treno che sta passando e non possiamo permetterci di perderlo.

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